Tappa 42: Le Carlaret – Montégut-Plantourel. Nuvole, paesaggi, incontri

La giornata è iniziata con un temporale di quelli belli forti, che ci ha costretti a rimandare la partenza di un’ora, in attesa che spiovesse. Non è stato tempo buttato: Elisabeth dispone in casa di un po’ di materiale e riviste sui cammini verso Compostela e su altri cammini in Francia ed è stata un’occasione, per noi, per documentarci un po’.
Appena smesso di piovere siamo ripartiti verso Pamiers, il capoluogo dell’Ariège. A parte il fatto che abbiamo potuto fare un po’ di spesa, la città è stata abbastanza deludente, ma la tappa era ancora lunga. A Pamiers ho lasciato Stefano che faceva colazione in un bar, mentre io ho proseguito verso l’abbazia di Cailloup: nonostante le grandi nuvole nere, temevo comunque che si scatenasse presto un caldo come quello di ieri…qui il tempo è davvero molto variabile e, quando esce, il sole non dà tregua, così come quando piove!
L’abbazia di Cailloup è un po’ triste: dovrebbe essere il sito in cui era venerato dall’XI secolo Sant’Antonino di Fredelas, ma non è sicuro che si tratti di quest’abbazia. La certezza è che, dopo alterne vicende legate alle guerre di religione e alla Rivoluzione, l’abbazia è stata venduta con i terreni circostanti e ne è stata fatta una cascina. Oggi, un’associazione di volontari sta cercando di restaurarla.
Dopo la pausa a Cailloup il mio itinerario di oggi mi ha fatto affrontare una lunga salita nei boschi per lasciare la vallata di Pamiers e poi scendere verso Saint-Victor Rouzaud. Qui mi sono fermata per il pranzo, che ho condiviso insieme a una simpatica dalmata femmina. Infine sono ripartita per una nuova salita nel bosco, durante la quale ho incontrato una famiglia di pellegrini francesi: mamma e papà alle prese con due muli e la figlia in groppa a un cavallo (bravissima, perché il cavallo non ha nemmeno scartato quando ha visto i miei bastoncini o la mantella!). Venivano anche loro a Montégut, ma non avremmo condiviso l’alloggio perché, con gli animali, preferiscono fare campeggio selvaggio. Poco dopo il nostro incontro ha cominciato a soffiare un vento da burrasca e io ho allungato il passo: il villaggio doveva essere a metà della discesa. Appena scollinato la sorpresa: niente più campi gialli di grano e orzo, ma solo boschi, a perdita d’occhio, e qualche pascolo! Arrivata al villaggio, con un tempo sempre più minaccioso, ho avuto la seconda sorpresa: Évélyne – la nostra ospite di stasera – mi aveva avvertita che avremmo dovuto attendere lei e Patrick per entrare, poiché sarebbero usciti nel pomeriggio… Ma, visto il maltempo, con un gesto di amore e fiducia totali verso i pellegrini, hanno lasciato la porta accostata e un biglietto di spiegazioni! Con un’accoglienza così, la serata si prospettava delle migliori e ha mantenuto tutte le sue promesse, grazie alla spontaneità e al calore dei nostri ospiti, nonché al talento gastronomico di Évélyne! Domani proseguiremo per il Mas D’Azil, tappa breve, che ci porterà a una grotta preistorica molto importante.20140630-065857-25137105.jpg

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Tappa 41: Mirepoix – Le Carlaret

La tappa di oggi meriterebbe, per essere descritta degnamente, una lucidità che forse ora non ho, a causa del caldo che mi ha martellata nelle ultime due ore di cammino. Comunque, vorrei darvi solo alcuni flash di quanto porterò nel mio cuore della giornata di oggi. Innanzitutto, il ricordo dell’accoglienza meravigliosa che ci hanno offerto Lina e Jean-Claude: ancora una volta siamo capitati per caso a toccare la vita di una famiglia e ancora una volta siamo stati accolti come figli tornati da un viaggio… Non ci sono parole per descrivere la gratitudine e la commozione che ancora mi suscita ripensare alla generosità e alla naturalezza con cui siamo stati accuditi ieri e oggi, tanto che Jean-Claude ci ha addirittura accompagnati lungo il sentiero per qualche chilometro, finché non siamo stati in vista del primo paesino!
Una seconda immagine è quella della chiesa rupestre di Vals: sul sito di una fonte venerata già in epoca preromana, oggi sorge una chiesa a tre livelli. Il primo, la cripta, è scavato nella roccia e dà accesso all’abside dove si venera Maria; in un’epoca successiva, inoltre, questo nucleo è stato collegato ad una cappella posta più in alto e dedicata all’Arcangelo Michele, come se l’arcangelo fosse posto a tutela e protezione di Maria.
Una terza e ultima immagine è quella della fatica: spesso è un aspetto che io stessa trascuro nei miei post, ma è intrinseco del cammino. Oggi, da quando sono uscita dalla chiesa di Vals (mancavano ancora 11km), ho trovato molto duro continuare a camminare: il cielo si era fatto limpido, non c’era vento e l’umidità era molto densa. Mi sono coperta di sudore e ho stretto i denti. Il cammino saliva nel bosco, poi scendeva, poi saliva ancora…al culmine della salita, mi sono resa conto di non avere quasi più acqua e che mancavano ancora due ore buone di cammino: lo scoraggiamento era alle porte. Sbuco dal bosco e da una fattoria mi si fa incontro un rottweiler: mi fermo e resto calma, il padrone lo richiama ma lui viene tranquillo verso di me. Anziché attaccarmi, si mette beato a leccarmi mani e gambe e a cercare coccole e carezze. Il padrone si avvicina, mi chiede le solite cose (dove va? Da dove è partita? Ma è da sola? Ha un bel coraggio…) e poi mi riempie la borraccia d’acqua fresca! Li saluto e dopo 50 metri praticamente sbatto contro un ramo di prugnolo carico di frutti maturi. Ne faccio scorta e riprendo: un po’ di conforto, per fortuna o forse no, arriva sempre quando lo si desidera di più… Almeno sul Cammino!

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Tappa 40: Fanjeaux – Mirepoix. Al di là dello spartiacque

Con il post di oggi non vi racconterò storie di eretici e persecutori. Anzi vi risparmierò proprio la Storia, non perché i posti che abbiamo attraversato siano stati risparmiati dall’ordalia che ha posto fine al catarismo, o perché non ci siano storie interessanti da raccontare, ma perché oggi sono stata sopraffatta dall’emozione.
Infatti, avrete notato che, intanto, è la quarantesima tappa e, come ogni cifra tonda, fa sempre un po’ impressione. E poi, pochi chilometri dopo l’uscita di Fanjeaux, siamo saliti a un paesino che si chiama Hornoux e che segna il passaggio dello spartiacque fra il bacino del Mediterraneo e quello dell’Atlantico. Vuol dire che tutta l’acqua piovuta sulla terra che ho calpestato fino a ieri va a finire nel Mediterraneo, tutta quella che cade sul terreno che calpesterò da oggi in poi finisce nell’Oceano Atlantico…così come anche io spero di finire nell’Atlantico fra un mese e mezzo. Insomma, fa un po’ impressione!
E dopo aver scavalcato lo spartiacque, ecco un’altra grande emozione: dopo una curva, insospettato, oltre la bruma, ecco il picco del Saint-Barthélemy, la cima più vicina a noi dei Pirenei! È la prima volta che li scorgiamo e nel corso della giornata li abbiamo visti sempre più chiaramente, mentre incespicavamo nel fango… Bellissimo ed emozionante! Ora i Pirenei ci accompagneranno per i prossimi 19 giorni, fino a quando li valicheremo per raggiungere Roncisvalle… Dopo aver passato la Pianura Padana, le risaie della Lomellina, le Alpi, la Camargue, il mare, il Canal du Midi, essere in vista dei Pirenei mi fa veramente rendere conto di quanto si possa andare lontano, mettendo solo un piede avanti all’altro!20140627-193959-70799125.jpg

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Il respiro del grano

Tappa 39: Montréal – Fanjeaux. La rocca dei Catari

Questa mattina il risveglio è stato tardo e tranquillo: la tappa era breve, meno di 15km, e l’alloggio era già assicurato presso le suore domenicane di Fanjeaux. Oltre a essere breve, il tragitto si è anche rivelato meraviglioso: il GR78 oggi si è snodato in una campagna collinosa coltivata a grano e vigne, popolata di conigli, lepri e uccellini… Per tutto il tempo il cielo è stato coperto da nuvoloni minacciosi, ma un vento incessante ha soffiato da ovest, probabilmente salvandomi dalla pioggia.
La destinazione della tappa era Fanjeaux, sito della Fanum Jovis romana, su cui si è impostato un villaggio il cui castello era cantato anche dai trovatori. Tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, Fanjeaux divenne un centro cataro di prima importanza, tanto che venne scavato un fossato a protezione dei suoi abitanti. Proprio per la sua importanza per l’eresia, fu qui che si installò Domenico di Guzman e ne fece il centro della sua predicazione, creando, a un paio di km dal villaggio, un primo monastero femminile in cui si ritirarono molte donne recuperate alla fede cattolica. In una delle case nobiliari di Fanjeaux, inoltre, ebbe luogo il famoso miracolo del fuoco: davanti a dei giudici locali, 3 predicatori cattolici – fra cui Domenico – e 3 notabili catari si confrontarono con la prova del fuoco. I due gruppi scrissero ciascuno su carta i cardini della propria fede, per poi gettare i fogli nel fuoco per tre volte consecutive: mentre le proposizioni catare vennero arse, il foglio vergato da Domenico volò intatto per tre volte fuori dalle fiamme, confermando la verità della sua fede. È proprio sul luogo in cui ebbe luogo tale miracolo che sorge il monastero delle suore domenicane, che oggi accolgono con un sorriso e con calore i pellegrini diretti a Compostela.
Del villaggio medievale rimane anche l’edificio dell Halles, un grande spazio coperto dove si svolgevano il mercato e altre attività sociali.

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Tappa 38: Carcassonne – Montréal. Fra conchiglie e catari

Il Cammino riserva sempre molte sorprese a chi le sa cogliere…e ieri me ne ha presentata una bella grossa: mentre stavo scrivendo il blog, ieri sera, è arrivato all’Ostello della Gioventù un ragazzo munito di carretto, bastoncini e tutto l’armamentario di uno che ha tanti km alle spalle e tanti ancora da percorrere. Nel corso della serata ci siamo fatti una bella chiacchierata e così ho scoperto che Becket sta percorrendo a piedi il periplo della Francia in senso antiorario: è partito l’1 gennaio da Parigi e tornerà a Parigi a fine anno, dopo più di 6000 km. Incredibilmente, anche lui nella vita fa l’archeologo… E questo fatto, nel giorno in cui in Italia viene riconosciuta per la prima volta l’esistenza della professione dell’archeologo mi dà da pensare. Se volete seguire il viaggio di Becket, potete farlo sia su Facebook che tramite il suo sito internet… E intanto veniamo alla tappa di oggi!
Oggi è stata una giornata entusiasmante, ma ricca di contrasti. Il primo motivo di entusiasmo è stato il trovare ad attendermi, alla fine del Ponte Vecchio di Carcassonne, i segnali del GR 78, noto anche come Cammino del Piemonte Pirenaico, che seguirò per le 21 tappe che mi condurranno fino a Saint-Jean-Pied-de-Port. Il secondo motivo di entusiasmo è stato che, contro ogni previsione meteorologica, non ha piovuto, forse anche perché ho usato la strategia “mantella”: tira fuori la mantella quando sta per piovere e non pioverà per farti dispetto!
D’altra parte, però, se i miei passi erano leggeri, ho camminato nella consapevolezza che questi territori hanno vissuto una storia sanguinosa che ne ha segnato l’identità: ogni villaggio e ogni monumento parlano della repressione subita dai catari nel XIII secolo, repressione tradottasi in una vera e propria crociata, a cui sono seguiti roghi e persecuzioni durature. Ancora nel XV secolo a Lavalette – il secondo villaggio attraversato oggi – Maria appare a due pastorelli ricordando loro di pregare, di non peccare e di onorare le feste comandate. Il precetto di onorare le feste stava molto a cuore anche a San Domenico, che venne inviato qui in veste di predicatore per riconvertire la popolazione catara: egli compì ben tre miracoli fra Arzens e Montréal. Il primo è quello delle “spighe sanguinanti”: nel giorno di una festa comandata, il frate incontrò dei paesani intenti al lavoro e li sgridò; a dimostrazione della sua ragione, le spighe, che i due stavano trasportando, cominciarono a sanguinare ed essi abbandonarono l’eresia. Gli altri due miracoli videro il santo intento a placare una tempesta con la forza della propria preghiera e a rendere potabile l’acqua di una fonte salmastra. Per quanto però San Domenico abbia compiuto miracoli in queste zone, mi rimane difficile dimenticare che la sua missione fosse la repressione, impresa che riuscì molto bene ai suoi confratelli: i domenicani, infatti, furono sempre fra i migliori inquisitori al servizio della Chiesa.
Altre due storie, legate a questa tappa, richiamano la triste vicenda dei catari: la prima è la storia del villaggio di Alairac. Alairac è un villaggio arroccato del tipo a “circulades”, una tipologia tipica della Linguadoca-Rossiglione fra l’anno Mille e il 1130: le case si disponevano ad anelli concentrici attorno a un punto nodale costituito da un castello a motta o da una chiesa ed erano le stesse case a costituire la cinta fortificata. Il passaggio da un anello all’altro era garantito da porte passanti fra le case. L’abitato di Alairac dovette resistere all’assedio posto da Simone di Monfort prima della presa di Carcassonne e proprio da Alairac proveniva uno dei sostenitori dell’ultimo prefetto cataro che lo accompagnarono nella sua fuga in Catalogna. Al suo ritorno, egli venne catturato e arso sul rogo.
L’ultimo simbolo visibile della repressione catara di cui parlerò oggi, infine è visibile da lontano ed è stata posta a presidio tangibile del territorio: si tratta della Collegiata di Montréal, dedicata a San Vincenzo. La sua sagoma imponente e fortificata è andata a sostituire, nel 1318, la più modesta chiesa parrocchiale e venne destinata a ospitare un capitolo di canonici. L’edificio è realizzato in stile gotico meridionale: corrente architettonica che viene concepita proprio per la lotta all’eresia. San Vincenzo, povero lui, con la vicenda catara non c’entra nulla: martire del IV secolo d.C., da queste parti è molto venerato come protettore dei vignaioli! Pare che, attraversando questi territori a dorso di mulo provenendo da Saragozza, si fermò a parlare con dei vignaioli. Mentre lui parlava, il mulo sgranocchiò un po’ della vite: da quel tralcio venne molta più uva che dagli altri…e nacque la tecnica della potatura della vite.20140625-184441-67481468.jpg

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Turista a Carcassonne: le magie di Viollet-le-Duc

Oggi ho trascorso una giornata di relax immersa nel Medioevo respirabilmente medievale di Carcassonne. Ieri, al mio arrivo, la Cité mi era sembrata una specie di parco giochi per turisti: tutto perfetto, i ristoranti a tema, i negozi di souvenir medievali… Ma tutto bellissimo, come se la cittadella fosse stata costruita ieri…
Oggi, però, mi sono alzata alle 7 e sono uscita presto dall’Ostello della Gioventù, seguendo il consiglio della mia compagna di stanza: alle 8 la chiesa di Saint-Nazare era deserta, le viuzze silenziose, si sentivano solo i battiti d’ala dei colombi e i richiami degli spazzini impegnati a rimuovere i detriti lasciati dai turisti di ieri. La chiesa mi ha incantata: le vetrate stupende, un’architettura spettacolare che unisce l’impianto originario romanico con un coro maestoso gotico, il sole che trafigge il rosone violetto trasformandolo in una ruota del tempo… Poi ho continuato il mio giro e in tarda mattinata ho visitato anche il castello comitale. E ho capito chi è stato l’artefice di tutta questa bellezza, quasi troppo bella. Nella mia ignoranza crassa avevo scordato che qui ha operato per decenni Viollet-le-Duc, che dal 1856 in poi si è fatto carico dei restauri prima della chiesa e poi dell’intera cittadella. Ma sotto Luigi XVI, ancora non era di moda una riflessione epistemologica sul senso del restauro e così Viollet-le-Duc ha avuto modo di dare la propria impostazione e il proprio senso al lavoro. Ha compiuto un rilievo completo dei resti esistenti della cittadella, che ormai era in rovina ed era stata invasa da abitazioni povere e private che si addossavano alle mura snaturandone il senso e la bellezza. L’architetto fece eliminare queste costruzioni e ricostruì da zero le coperture e le decorazioni, laddove esse non erano più leggibili. Assunse mastri scultori e mastri vetrai e rifece la decorazione della chiesa. Trasformò, nell’arco di 60 anni un insieme di ruderi in un santuario della storia dell’arte medievale, unendo un’osservazione attentissima dei resti a una conoscenza e consapevolezza profonda della cultura architettonica medievale, tanto che oggi Carcassonne può essere considerata un museo esemplare del Medioevo francese. Il risultato è eccezionale, forse criticabile dal punto di vista della “sincerità” del restauro, ma sicuramente lascia a bocca aperta!
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La leggenda della Dama Carcas

Ancora una volta, lungo il mio cammino, incontro una leggenda legata alla figura di Carlomagno: questa volta si tratta della leggenda della Dama Carcas. La città di Carcassonne era a quei tempi governata dal saraceno Balaak, la cui sposa si chiamava, appunto, Carcas. Quando Carlomagno condusse la sua campagna contro i Mori per liberarne la Spagna, cinse d’assedio la città e, durante gli scontri, Balaak perse la vita. Ma la Dama Carcas non si perse d’animo e condusse ella stessa le difese. Dopo 5 anni di assedio, la città era stremata e quasi tutti i difensori erano morti per la fame: la Dama Carcas fece allora sistemare al loro posto dei manichini di paglia per ingannare il nemico. Ma il problema più grave era la fame: ormai in città non rimaneva altro cibo che un porcellino e una misura di grano. Carcas ebbe un’idea: diede da mangiare al maialino il grano e poi lo catapultò, come regalo, nel campo dei Franchi. Cadendo, dallo stomaco del porcellino uscì il grano che aveva appena ingerito. Carlo, visto questo, diede ordine di togliere l’assedio: dopo 5 anni a Carcassonne c’era ancora tanto cibo da dare il buon grano ai porci!
Quando il campo fu tolto e l’armata si fu allontanata, la Dama fece suonare le trombe (Carcas-sonne) e richiamare il re. La sua astuzia aveva infine salvato la città e lei propose un’alleanza di pace al re dei Franchi.

Tappa 37: Marseillette – Carcassonne. Dal Canal du Midi alla cittadella

La notte trascorsa all’interno della botte è stata estremamente riposante: l’ambiente ovattato e l’intimità della sistemazione mi hanno letteralmente stesa… Tanto che questa mattina non ho sentito la sveglia e mi sono alzata mezz’ora più tardi! Ma è stato un problema di poco conto: oggi il caldo non è quasi stato un problema, visto che quando ho lasciato la sala delle botti mi sono trovata nelle nuvole basse, in una soffusa pioggerella e l’alba non si vedeva proprio! Mi sono incamminata lungo il Canal du Midi, per percorrerne gli ultimi 20 km fino a Carcassonne. Il tempo ha retto fino alle 10, quando si è scatenato un signor acquazzone, che mi ha fatto ringraziare il mio essere una partigiana convinta della mantella a gobba, a discapito della combinazione copri-zaino + k-way: con un solo gesto avevo messo al riparo me stessa e lo zaino con tutto il suo contenuto e ho potuto proseguire, nella speranza vana di trovare un riparo. Ho così scoperto il lato positivo e quello negativo dei platani. L’aspetto positivo è che, finché la pioggia non si fa intensa, i platani riparano dall’acqua e rallentano il processo di inzuppamento. Il lato negativo è che, finita la pioggia, continueranno a gocciolarti addosso acqua per qualche ora… Ma non si può mica avere tutto nella vita!
Non molto tempo dopo la fine dell’acquazzone, sono entrata a Carcassonne e quasi subito ho potuto ammirare da lontano la Cité, la cittadella fortificata prima dai visconti di Trencavel e poi dai re di Francia, fra cui il nostro Luigi IX.
La città di Carcassonne è strettamente legata alla storia dei Catari e costituisce il cuore del Paese Cataro. Al di là degli aspetti religiosi, in Francia l’eresia catara oppose, all’inizio del XIII secolo, la casa reale (cattolica) ai nobili locali (catari). Lo scontro assunse presto connotati molto seri, tanto che il papa Innocenzo III bandì contro i Catari e gli Albigesi la prima delle Crociate che si svolsero direttamente sul territorio europeo. Nel 1209 Carcassonne venne assediata e presa da Simone di Monfort, che prese prigioniero Raymond Roger Trencavel, visconte cataro di Carcassonne. La cittadella divenne proprietà reale nel 1226 e Luigi IX la trasformò in fortezza reale, cardine del sistema difensivo della frontiera con l’Aragona.
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Tappa 36: Homps – Marseillette. L’atarassia del pellegrino

Il primo pensiero di stamattina è stato: “cavoli! È domenica e me ne sono scordata!” Pensiero dettato dal fatto che qui la domenica è molto difficile trovare qualche negozio di alimentari aperto. Ma ormai il gioco era fatto… Mi sono incamminata lungo il Canal du Midi verso Marseillette senza pensarci troppo.
Ho chiamato il Relais Occitan, un B&B particolare, in cui si viene ospitati in antiche ed enormi botti ripulite e sistemate a stanzette: me ne aveva parlato Antonella e come potevo perdere l’esperienza?! La signora mi ha detto che avrebbe aperto l’accueil solo alle 17, anche se io sarei probabilmente arrivata a Marseillette per le 11. Me la sono presa comoda, un passo dopo l’altro, qualche pausa in più… Ma la tappa era breve e alla fine alle 11 ero arrivata!
Un salto all’épicerie, la scoperta che il boulanger locale è celiaco e fa le baguettes senza glutine e poi un piccolo aperitivo… Decido di festeggiare la domenica regalandomi un pranzo al ristorante e poi… Relax di 2 ore a bordo canale! Se fossi stata in un’altra situazione, la voglia di fare una doccia, il fastidio degli abiti sudati addosso, la polvere appiccicata alle gambe, mi avrebbero impazzire dall’impazienza di arrivare al gîte… Ma qui… La giornata era bella, avevo un albero sotto cui ripararmi dal sole, un prato su cui stendere il tappetino, le nuvole da guardare mentre si rincorrevano nel cielo… Fra un pisolino e una nota sul diario, il pomeriggio è volato! Sarà forse questo lo stato atarassico, proiettato verso un’imparziale accettazione di ciò che porta il Cammino? Può darsi…fatto sta che ci si sta tanto bene!
E così, eccomi qua, ora: alloggiata in una botte e pronta per arrivare, domani, a Carcassonne, lasciare il Canal du Midi e intraprendere il Cammino del Piemonte Pirenaico verso Lourdes e poi Saint-Jean-Pied-de-Port!
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