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La leggenda della Dama Carcas

Ancora una volta, lungo il mio cammino, incontro una leggenda legata alla figura di Carlomagno: questa volta si tratta della leggenda della Dama Carcas. La città di Carcassonne era a quei tempi governata dal saraceno Balaak, la cui sposa si chiamava, appunto, Carcas. Quando Carlomagno condusse la sua campagna contro i Mori per liberarne la Spagna, cinse d’assedio la città e, durante gli scontri, Balaak perse la vita. Ma la Dama Carcas non si perse d’animo e condusse ella stessa le difese. Dopo 5 anni di assedio, la città era stremata e quasi tutti i difensori erano morti per la fame: la Dama Carcas fece allora sistemare al loro posto dei manichini di paglia per ingannare il nemico. Ma il problema più grave era la fame: ormai in città non rimaneva altro cibo che un porcellino e una misura di grano. Carcas ebbe un’idea: diede da mangiare al maialino il grano e poi lo catapultò, come regalo, nel campo dei Franchi. Cadendo, dallo stomaco del porcellino uscì il grano che aveva appena ingerito. Carlo, visto questo, diede ordine di togliere l’assedio: dopo 5 anni a Carcassonne c’era ancora tanto cibo da dare il buon grano ai porci!
Quando il campo fu tolto e l’armata si fu allontanata, la Dama fece suonare le trombe (Carcas-sonne) e richiamare il re. La sua astuzia aveva infine salvato la città e lei propose un’alleanza di pace al re dei Franchi.

Les Vigneaux: l’affresco dei Vizi e delle Virtù

Narra la leggenda che monsieur Carle, un importante cittadino di Les Vigneaux, presidente del parlamento provinciale di Grenoble, voleva lasciare traccia indelebile di sé nella memoria dei suoi concittadini. Decise allora di commissionare a un giovane pittore italiano un affresco per decorare la facciata meridionale della chiesa di Saint-Laurant: poiché egli era fermamente convinto della fedeltà della moglie Louise e della propria irreprensibilità, scelse un ciclo dei vizi e delle virtù e affidò alla moglie l’incarico di sorvegliare i lavori. La bella Louise non si rivelò propriamente insensibile alla bellezza del giovane italiano e lo sedusse nel giro di pochi giorni. Non contenta, una sera in cui il marito era a Grenoble, partecipò in sua vece a una festa presso la casa del signore di Rame. Manco a dirlo, in assenza del marito e dell’amante, ci pensò proprio il signore di Rame a consolare la bella Louise.
Non contenta, il giorno dopo Louise si recò a sorvegliare l’operato del pittore al braccio del nuovo amante, scatenando nel cuore del giovane italiano il desiderio di vendetta. Fu così, che l’affresco fu completato con i ritratti di Louise, in veste della Lussuria, monsieur Carle, a impersonare l’Ira, e monsieur de Rame, con le sembianze dell’Orgoglio.
Al suo ritorno, il marito tradito vide l’affresco e capì l’accaduto. A sua volta, egli meditò vendetta. Dopo aver pagato il pittore e averlo congedato, mise a digiuno la mula della moglie per diversi giorni, poi invitò Louise ad accompagnarlo a una visita in un villaggio non distante. Appena la mula, assetata, si avvicinò a un torrente, Louise perse il controllo dell’animale, che la trascinò in acqua annegandola. Fu così consumata la vendetta del marito, che se la cavò facendo dire una Messa per la moglie defunta, presso la chiesa di Saint-Laurant.20140528-181934-65974279.jpg

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Mortara: di qui passò Carlo Magno

Uno dei primi luoghi che toccherò lungo il mio Cammino sarà Mortara, un paese in provincia di Pavia, lungo la Via Francigena. La storia di Mortara affonda nei secoli, tanto che l’esistenza del paese è testimoniata già nel IV secolo d.C., quando Gaudenzio, vescovo di Novara, volle, al suo ingresso, la costruzione di due cappelle dedicate, l’una, a San Pietro e, l’altra, a Sant’Eusebio. La seconda assunse la funzione di parrocchia per il centro abitato.  Entrambe le cappelle vennero poste a circa un chilometro e mezzo da Mortara e, grazie all’ospitale annesso alla chiesa di Sant’Eusebio, divennero una tappa importante per coloro che si dirigevano a Roma, provenendo dall’Europa settentrionale e occidentale. Di qui transitarono molti personaggi importanti: nel 440 il futuro Papa Leone, nel 494 Sant’Epifanio, nel 574 Papa Stefano II, nel 575 Papa Paolo I e, nella primavera del 773, passò di qui anche l’ambasciata franca di ritorno dall’incontro con Papa Adriano I.

La chiesa di Sant’Albino a Mortara

Non molto tempo dopo il passaggio di questa comitiva, la chiesa di Sant’Eusebio entrò definitivamente nella Storia: il 12 ottobre del 773, infatti, proprio nei pressi delle due cappelle di San Pietro e di Sant’Eusebio ebbe luogo la battaglia finale tra i Franchi di Carlo Magno e i Longobardi, guidati da re Desiderio.  Lo scontro fu estremamente cruento ed entrambe le parti subirono gravi perdite, ma a trionfare furono i Franchi. Nonostante la vittoria, però, nei combattimenti persero la vita due dei Paladini di re Carlo: Amelio d’Alvernia, coppiere del re, e Amico Beyre, tesoriere reale.

Carlo Magno ordinò che essi fossero tumulati con tutti gli onori, ognuno sotto l’altare di una delle due cappelle: Amico in San Pietro e Amelio in Sant’Eusebio. Il giorno successivo, però le spoglie di Amico e di Amelio furono rinvenute entrambe sotto l’altare della cappella di Sant’Eusebio, l’uno accanto all’altro. E così, la chiesa di Sant’Eusebio entrò nella leggenda.

Carlo Magno e i suoi paladini: miniatura su pergamenta (XV secolo), Biblioteca Nazionale, Torino.
Carlo Magno e i suoi paladini: miniatura su pergamena (XV secolo), Biblioteca Nazionale, Torino.

Dopo questi fatti miracolosi, padre Albino, monaco e consigliere di Carlo Magno, volle fondare un monastero, aggregato alla chiesa di Sant’Eusebio, a cui il re concesse ricche donazioni. La foresteria di Sant’Eusebio venne così riadattata a ospitare i monaci e qui si insediarono alcuni allievi di Albino, che presero i voti quando questi divenne vescovo di Vercelli. Alla sua morte, nell’801, egli chiese di essere sepolto accanto ai due paladini. I monaci, tutti di origine franca, dedicarono il loro monastero a Sant’Albino d’Angers e adottarono la regola di Sant’Agostino, pur godendo di ampia autonomia e rimanendo una tappa importante per i pellegrini di passaggio.

Gli affreschi cinquecenteschi che decorano l’abside della chiesa di Sant’Albino a Mortara; da sinistra verso destra: Sant’Albino, il Battesimo di Gesù, la Madonna in trono con il Bambino, circondata dai Santi, fra i quali spicca San Giacomo, ultima figura a destra.

Nella primavera del 1999, durante i lavori per il restauro della chiesa di Sant’Albino, vennero alla luce, proprio sotto l’altare maggiore, due sarcofagi. Uno dei due sarcofagi, oltre a essere coerente con la datazione all’epoca carolingia, conserva i resti di un uomo di grandissimo prestigio, tumulato a gambe incrociate, secondo un’usanza adottata per gli ecclesiastici di alto rango e, in seguito, per i cavalieri templari. Ancora oggi le pareti dell’abside romanica di Sant’Albino recano le incisioni lasciate dai tanti pellegrini che qui hanno trovato rifugio.