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Tappa 38: Carcassonne – Montréal. Fra conchiglie e catari

Il Cammino riserva sempre molte sorprese a chi le sa cogliere…e ieri me ne ha presentata una bella grossa: mentre stavo scrivendo il blog, ieri sera, è arrivato all’Ostello della Gioventù un ragazzo munito di carretto, bastoncini e tutto l’armamentario di uno che ha tanti km alle spalle e tanti ancora da percorrere. Nel corso della serata ci siamo fatti una bella chiacchierata e così ho scoperto che Becket sta percorrendo a piedi il periplo della Francia in senso antiorario: è partito l’1 gennaio da Parigi e tornerà a Parigi a fine anno, dopo più di 6000 km. Incredibilmente, anche lui nella vita fa l’archeologo… E questo fatto, nel giorno in cui in Italia viene riconosciuta per la prima volta l’esistenza della professione dell’archeologo mi dà da pensare. Se volete seguire il viaggio di Becket, potete farlo sia su Facebook che tramite il suo sito internet… E intanto veniamo alla tappa di oggi!
Oggi è stata una giornata entusiasmante, ma ricca di contrasti. Il primo motivo di entusiasmo è stato il trovare ad attendermi, alla fine del Ponte Vecchio di Carcassonne, i segnali del GR 78, noto anche come Cammino del Piemonte Pirenaico, che seguirò per le 21 tappe che mi condurranno fino a Saint-Jean-Pied-de-Port. Il secondo motivo di entusiasmo è stato che, contro ogni previsione meteorologica, non ha piovuto, forse anche perché ho usato la strategia “mantella”: tira fuori la mantella quando sta per piovere e non pioverà per farti dispetto!
D’altra parte, però, se i miei passi erano leggeri, ho camminato nella consapevolezza che questi territori hanno vissuto una storia sanguinosa che ne ha segnato l’identità: ogni villaggio e ogni monumento parlano della repressione subita dai catari nel XIII secolo, repressione tradottasi in una vera e propria crociata, a cui sono seguiti roghi e persecuzioni durature. Ancora nel XV secolo a Lavalette – il secondo villaggio attraversato oggi – Maria appare a due pastorelli ricordando loro di pregare, di non peccare e di onorare le feste comandate. Il precetto di onorare le feste stava molto a cuore anche a San Domenico, che venne inviato qui in veste di predicatore per riconvertire la popolazione catara: egli compì ben tre miracoli fra Arzens e Montréal. Il primo è quello delle “spighe sanguinanti”: nel giorno di una festa comandata, il frate incontrò dei paesani intenti al lavoro e li sgridò; a dimostrazione della sua ragione, le spighe, che i due stavano trasportando, cominciarono a sanguinare ed essi abbandonarono l’eresia. Gli altri due miracoli videro il santo intento a placare una tempesta con la forza della propria preghiera e a rendere potabile l’acqua di una fonte salmastra. Per quanto però San Domenico abbia compiuto miracoli in queste zone, mi rimane difficile dimenticare che la sua missione fosse la repressione, impresa che riuscì molto bene ai suoi confratelli: i domenicani, infatti, furono sempre fra i migliori inquisitori al servizio della Chiesa.
Altre due storie, legate a questa tappa, richiamano la triste vicenda dei catari: la prima è la storia del villaggio di Alairac. Alairac è un villaggio arroccato del tipo a “circulades”, una tipologia tipica della Linguadoca-Rossiglione fra l’anno Mille e il 1130: le case si disponevano ad anelli concentrici attorno a un punto nodale costituito da un castello a motta o da una chiesa ed erano le stesse case a costituire la cinta fortificata. Il passaggio da un anello all’altro era garantito da porte passanti fra le case. L’abitato di Alairac dovette resistere all’assedio posto da Simone di Monfort prima della presa di Carcassonne e proprio da Alairac proveniva uno dei sostenitori dell’ultimo prefetto cataro che lo accompagnarono nella sua fuga in Catalogna. Al suo ritorno, egli venne catturato e arso sul rogo.
L’ultimo simbolo visibile della repressione catara di cui parlerò oggi, infine è visibile da lontano ed è stata posta a presidio tangibile del territorio: si tratta della Collegiata di Montréal, dedicata a San Vincenzo. La sua sagoma imponente e fortificata è andata a sostituire, nel 1318, la più modesta chiesa parrocchiale e venne destinata a ospitare un capitolo di canonici. L’edificio è realizzato in stile gotico meridionale: corrente architettonica che viene concepita proprio per la lotta all’eresia. San Vincenzo, povero lui, con la vicenda catara non c’entra nulla: martire del IV secolo d.C., da queste parti è molto venerato come protettore dei vignaioli! Pare che, attraversando questi territori a dorso di mulo provenendo da Saragozza, si fermò a parlare con dei vignaioli. Mentre lui parlava, il mulo sgranocchiò un po’ della vite: da quel tralcio venne molta più uva che dagli altri…e nacque la tecnica della potatura della vite.20140625-184441-67481468.jpg

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